Liberamente ispirata all’omonimo libro Politiques de la nature di Bruno Latour, questa mostra, curata da Massimiliano Scuderi, è un tentativo di collegare gli interessi di cinque artisti internazionali che si sono occupati del tema di un possibile rapporto armonico tra l’uomo e la natura, tra una visione utopistica e una proposta progettuale.
Nel libro l’autore distingue il mondo in rappresentazioni e valori, una dialettica degli opposti che tocca categorie cruciali come razionale e irrazionale, scienza e società, cultura e natura.
La modernità ha tracciato la strada della grande letteratura per ridare un ordine al mondo, ma contemporaneamente ha generato grandi disastri, tra cui quello inflitto alla natura, considerata come un argomento avulso dalla vita sociale. Più che risolutive delle crisi ambientali, le soluzioni hanno avuto l’effetto di palliativi inefficaci; basti pensare alla nascita dell’ambientalismo, ovvero al tentativo di includere il mondo della natura nelle questioni politiche della specie umana.
Le opere in mostra mirano quindi a mappare una possibile conciliazione tra l’uomo e l’ambiente, mettendo insieme sia gli aspetti potenziali, sia quelli critici attraverso un abaco di proposte che vanno oltre la dimensione estetica per arrivare al campo dell’etica e della politica.
Tra gli artisti presenti, Peter Bartoš, un esponente della nuova avanguardia slovacca, parte dalla pittura per sviluppare un’estetica capace di modificare la vita. Dal 1969 al 1979, anno in cui fu assunto come landscape designer dal Giardino Zoologico di Bratislava, ha sviluppato un concetto sperimentale di cultura ambientale occupandosi non solo della selezione e della riproduzione degli animali – sono famose le sue ricerche sui piccioni – ma anche della terra coltivata dall’uomo in un insieme di olismo e sentimento d’avanguardia.
Con scrupolosità scientifica, Mark Dion costruisce una vera e propria Wunderkammer traboccante di allusioni semantiche nella quale elementi culturali e naturali ricreano ecosistemi possibili, il risultato di un lungo processo di archiviazione delle biodiversità e dei comportamenti adattivi. Peter Fend si ispira ai quattro libri dell’architettura di Andrea Palladio per costruire un ambiente vivibile e salubre che attinge direttamente alla storia dell’arte contemporanea, da Duchamp a Beuys, Oppenheim, Gordon Matta Clark e altri.
Dal 1968 Pietro Gilardi aderisce e contribuisce alle esperienze più interessanti e innovative dell’arte contemporanea, come l’Arte Povera e la Land Art. Interessato ai processi interattivi, ricostruisce i fenomeni generativi dei tifoni equatoriali per indurci a comprendere il suo concetto di arte come azione e partecipazione politica.
Alexis Rockman, attraverso una pittura raffinata, rappresenta visioni future che celebrano l’istinto di sopravvivenza e la capacità adattiva degli esseri umani: un ricco apparato iconografico che trae origine nei taccuini di disegni che aveva compilato nei primi anni Novanta durante i viaggi ai tropici con Mark Dion.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo bilingue (in italiano e in inglese) con un saggio critico di Massiliano Scuderi.