La mostra personale senza titolo di Philippe Parreno, al Gropius Bau di Berlino, non esiste ancora e forse non esisterà mai nel modo in cui viene descritta qui. Ciò non significa che sia meno reale. Senza dubbio, questa mostra possiede diverse modalità di esistenza che per ora sono puramente virtuali, luoghi di possibilità che potrebbero o meno concretizzarsi.
Fino ad oggi la mostra è esistita in varie modalità che sono cambiate nel corso del tempo, tra cui una che può essere sperimentata tramite il visore VR. Tuttavia, per il momento nulla appare stabilito, le future strade che la mostra può intraprendere rimangono aperte, e possiamo solo immaginare cosa Parreno abbia intenzione di fare.
Certo è che alcuni lavori del passato faranno di nuovo la loro comparsa. Per esempio la seppia, animale che compare spesso nelle opere di Parreno, avrà un ruolo in Anywhen, un film girato nel 2016 e di recente completamente rieditato. Molti dei lavori del passato che vengono ripresentati, all’inizio non erano concepiti come delle opere d’arte.
Ad esempio la carta da parati floreale – già presente come elemento di sfondo sul set del film di Parreno Marylin (2012) – passa ora in primo piano diventando un’opera a sé che copre una parete della galleria. Tornano anche le lucciole: centinaia di disegni di insetti luminosi brillano su un grande schermo a LED e poi svaniscono, la durata della loro vita governata da complessi algoritmi.
Di certo questo andirivieni di vecchi personaggi ha qualcosa a che fare con la nascita, la morte e la rinascita. Quando (o se) queste opere si incontreranno, solo il tempo potrà dire come si accorderanno. Si riecheggeranno l’una con l’altra? Quali nuove realtà potrebbero emergere? Delle forze e delle sensazioni incorporee e fluttuanti avranno una diretta influenza sui corpi stessi delle opere e di coloro che visiteranno la mostra.
All’interno di una sala tre diversi mulinelli di vento progettati da alcuni scienziati guidano un flusso di palloncini a forma di pesce lungo un percorso complesso. Questo verrà a sua volta modificato in modi imprevedibili all’interagire dei pesci con il pubblico. Suoni reali registrati dal vivo, provenienti da qualche parte in città o al di fuori di essa, trapelano all’interno e si diffondono da una sala all’altra.
Questi suoni riemergono nella riflettente piscina dell’atrio convertiti in un pattern di ninfee. Nelle gallerie la luce cambia di continuo man mano che delle persiane automatiche si sollevano e si abbassano, seguendo un ritmo governato da una forza sconosciuta. Un altro spazio viene irrorato da un’innaturale bagliore arancione che rievoca l’immaginario futuro del nostro sole al tramonto. In un’altra sala la temperatura cambia drasticamente. È solo la nostra immaginazione? Come riusciamo a percepire queste forze se devono ancora concretizzarsi?
Mentre ci muoviamo attraverso la mostra, iniziamo a sentirci come se fossimo entrati in una dimensione non organizzata secondo le nostre normali coordinate spaziali. Si tratta di uno spazio interiore, un paesaggio puramente mentale, un luogo animato da una logica paranoica. In una stanza sul retro si trova un bioreattore, composto da un becher nel quale dei microorganismi si moltiplicano, mutano e si adattano al loro ambiente.
Connessi a dei computer che orchestrano gli eventi della mostra, questi batteri sviluppano una memoria, un’intelligenza collettiva che apprende i ritmi mutevoli dell’esposizione e si evolve per anticipare le variazioni future. Mentre i microorganismi interagiscono costantemente tra loro e con i potenziali eventi che hanno luogo nel museo, il loro circuito neurale scatena una complessa mise en scene non deterministica e non lineare.
Questo cervello alieno in vitro diventa il centro di controllo vivente, la mente dietro alla mostra. I processi mentali del bioreattore sono impercettibili per gli esseri umani. Possiamo solo immaginare cosa abbia intenzione di fare.