E’ questo il titolo della rassegna dedicata alla body art, raccontata attraverso le opere di artisti come Matthew Barney , Joseph Beuys e Chris Burden , che si è tenuta dal 30 novembre al 1° dicembre al cinema a luci rosse Avorio di Roma. “Ma è anche un’efficace modo di dire – specifica Complus Event che ha promosso l’evento – utilizzato negli States come reazione a differenti turbamenti”. Espressione questa che ben descrive quindi il sentimento del pubblico romano quando si è visto negare dalle istituzioni promesse culturali poi non mantenute.

Ci riferiamo all’operazione di censura calata proprio sulla manifestazione, in un primo momento patrocinata dal Comune di Roma e dal VI Municipio, di fatto boicottata poco prima del debutto. Un po’ come è accaduto, negli stessi giorni, ad un altro attesissimo appuntamento: quello con la musica di Aphex Twin. Ma se per l’artista irlandese il voltafaccia si è espresso con il rifiuto di uno spazio (l’ex Fiera di Roma, inizialmente concessa per l’unica data italiana del tour), per Sex is the Pain in the ass la questione è ben più sottile. Ad esser stato interdetto è stato uno dei temi principali affrontati dal programma, quello della body art radicale. Negata, quindi, l’affermazione di una pratica artistica riconosciuta a livello internazionale ma reputata, dopo le pressioni delle forze di opposizione (AN e Udc), paradossalmente non idonea anzi offensiva per la morale dei cittadini. Le stesse, per capirci, di dichiarato stampo cattolico, ben avezze all’iconografia di martiri sanguinanti e che accettano, come folklore religioso, uomini che si flagellano a sangue in segno di penitenza dinanzi alla sacra effigie del Santo (cerimonia della “Pirduranza”, comune nel palermitano durante la Processione pasquale dei Misteri del Cristo morto).

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La polemica, alimentata dal quotidiano “Il Giornale”, che il 27 settembre scorso titolava “Una rassegna pornografica sponsorizzata dal presidente del VI Municipio”, è scattata dopo l’uscita del banner pubblicitario sul sito istituzionale. In risposta, l’Assessore alla cultura Vincenzo Carpenella ha imposto il ritiro di locandine e brochure con sopra apposto lo stemma comunale, creando un danno consistenze alla rassegna che attendeva, dice ol curatore Piero Pala “circa 5000 paganti”. Non solo. Ha informato che se uno dei video fosse stato proiettato (“Zurreissprobe” (1970) di Gunter Brus, esponente storico dell’Azionismo Viennese) e le performance previste si fossero svolte come consuetudine, ovvero con sospensoni corporee o fakir show, non si sarebbe fatta attendere la denuncia nei confronti degli artisti. Ai Freaks’ Bloody Tricks ed agli Skoidlab , rappresentanti italiani delle avanguardie radicali, è stato addiritura proposto di “mimare” i loro live act, “In blood we trust” e “Finchè morti non ci separi”, per risultare in regola con le nuove disposizioni. Richiesta alla quale i due gruppi hanno reagito informando della loro defezione dal progetto, con la lettura di un comunicato contro la censura di fronte al pubblico in sala.

“Provoca due sensazioni opposte la censura riguardo la serata del 30 novembre. Sdegno e incredulità, visto che siamo nel 2007! Lo show doveva svolgersi all’interno di un cinema porno e c’era il divieto ai minori di 18 anni di accedere all’evento. Non sarà un problema farci saltare uno spettacolo. Grazie a chi crede in più alte forme di rispetto, abbiamo a disposizione un intero universo parallelo in cui espimerci con il nostro linguaggio”. I Freaks’ Bloody Tricks (www.myspace/freaksbloodytricks) si esibiranno, infatti, il 14 dicembre al Kollatino Underground di Roma, accompagnati dagli Ivs Primae Noctis, nella serata “Noise Session”; fra i partecipanti Mr.3p , Fire at work e la special guest Radium. Anche gli Skoidlab riproporranno lo spettacolo in data da definirsi (http://www.studiocaronte.org; http://www.skoidlab.org), probabilmente allo studio Caronte, spazio espositivo di Francesco Fragapane, che inaugurerà l’8 Dicembre.

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Uscito praticamente illeso, come il suo protagonista Chris Burden, il video “Shoot”(1971), che riporta una delle performance più spettacolari degli anni ’70 svoltasi a S.Ana, in California, nel corso del quale l’artista concettuale si fece sparare al braccio sinistro da un suo assistente, da una distanza di 5 m . Molto più estremo, a questo punto della pellicola proibita: 16 min. d’interventi autolesionistici, ultimo atto di un percorso partito 6 anni prima. Se per Gunter Grus, ed in generale per l’Azionismo Viennese, il corpo sottoposto a condizioni limite diventa lo scenario dell’azione, strumento di rivolta e liberazione in risposta alle “malattie del sistema”, nel “Cremaster Cycle” di Matthew Barney, invece è inteso come pura potenzialità materica.

I 5 colossal, a metà strada fra video arte e cinema sperimentale, altro non sono che una grande metafora genitale priva di riferimenti erotici, rappresentata con un flusso continuo di immagini subliminali e sofisticati espedienti visuali dal sapore simbolico e fiabesco, associati a colonne sonore d’eccezione (Johnny Cash, Morbyd Angel, Sleyer). Un’allegoria dei meccanismi biologici, ispirata all’attività del “muscolo crimasterico”, sorta di interruttore termico dell’apparato genitale maschile, che alzando la temperatura basale per favorire la produzione di sperma, avvicina le gonadi al corpo tramite contrazoni testicolari. Un catalizzatore, quindi, fra il desiderio, motore del processo vitale, e la sua trasformazione in istinto animale. Nella saga si alternano personaggi chiave dell’immaginario di Barney: dal mago Houdini alla Regina delle Catene interpretata da Ursula Andress , all’architetto del tempio di Salomone Hiram Abiff (lo scultore Richard Serra ), fino ad icone dello sport e gangster senza scrupoli, cheerleaders e corridori di side-car, creature mitologiche e coreografie da rivista. L’azione si concentra in teatri prestigiosi, campi da football, pance di palloni aerostatici, in grattacieli fallici come il Chrysler Building o nel ventre del Guggenheim Museum di N.Y.

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Gli episodi, privi di un filo logico e temporale, sono stati proiettati all’Avorio in ordine di uscita: Cremaster 4 (1994), Cremaster 1(1995), Cremaster 5(1997), Cremaster 2 (1999), Cremaster 3 (2002). Scelta non casuale del regista, che traccia una sequenza numerica speculare da destra a sinistra (4-1-5-2-3) intorno al 5, numero simbolo per il visual artist: 5 i video, 5 gli atti nella partizione della tragedia greca, 5 le discipline olimpiche ateniesi. Un’occasione per visionare l’opera altrimenti irreperibile. L’intero ciclo, infatti, è stato pubblicato in una serie limitata di 20 dvd.

Presentato anche “Drawing Restraint 9” (2005) che proprio al cinema Avorio debuttò lo scorso anno, raccogliendo 2500 presenze. E’ la storia questa di un matrimonio celebrato secondo la tradizione scintoista su una baleniera nipponica, a largo della baia di Nagasaki: protagonista il filmmaker e la consorte Bjork. Una pellicola priva di dialoghi, che mette in scena la ritualità giapponese, descritta da una fotografia siderale e da atmosfere musicali ricercate, ricreate dalla cantante islandese che ha curato pure la partitura dello “Sho”, particolarissimo strumento di sole 3 note, suonato dalla musicista Mayumi Miyata. Fra i due protagonisti una monumentale scultura in vasellina liquida, chiamata “The Field”, modellata sul ponte della Nisshin Maru. Quando questa sciogliendosi invade la cabina degli ospiti, in preda ad un delirio mistico gli sposi si amputano gli arti a vicenda. Gesto che presuppone la rinascita e la trasformazione fisica in una nuova forma.

Due invece le anteprime proiettate nella rassegna: il video “Scabaction” (1988) e “Drawing Restraint 13” (2006), documentario della performance eseguita alla Gladstone Gallery di New York nel corso del’inaugurazione dell’esposizione “The Occidental Guest”. Ritorna il tema della vasellina, plasmata in una scultura cuneiforme intitolata come il video, dove il leggendario generale Douglas MacArthur (Barney), si muove per simulare lo sbarco sulle Filippine.

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Interessante poi la breve testimonianza del regista Mario Franco ” La Rivoluzione Siamo noi”(1971), di una performance a Napoli del tedesco Joseph Beuys. “Ogni cosa che ho fatto” dice, “è correlata al disastro, che è presente e domina anche il Sud”. Tema di grande attualità considerando la criticità della questione napoletana dei giorni nostri, inasprita dalle faide di camorra. Noioso invece “Die Fettecke”(1986/87) di Ricardo Peredo , video scultura riguardante la distruzione dell’istallazione “Fat Wedge” sempre di Beyus. 40 minuti di proiezione in lingua originale (tedesco) senza neanche un sottotitolo in inglese. Dopo il primo quarto d’ora, in cui il dibattito in sala era incentrato sul fatto se la proiezione fosse stata volutamente proiettata storta o meno, la maggior parte del pubblico si è precipitato sul buffet o concesso una lunga pausa sigaretta.

Bocciata anche l’esposizione delle opere in mostra di F&D Cartier , Massimo Drago , Giacinto Occhionero . Non per le opere, di sicuro interesse, ma per l’allestimento. L’illuminazione sui quadri è stata accesa su richiesta, mentre completamente assenti erano le didascalie descrittive, tranne che per il collettivo Antonio Salieri . “Cicatrice”, dittico elaborato con metallo e acrilico su pergamena di suino, si rifà al tema della memoria lasciato attraverso tutte le tipologie di decorazione contemplate dalla body art. La prima tavola è una sorta d’intevento lirico, la seconda è un’interpretazione materica del segno permanente.

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Di seguito “Jour apre Jour” di Francoise e Daniel Cartier. Da una costruzione sparsa fra cataloghi e volantini vari, si evince che il composit, articolato in tre file di 10 fotogrammi ciascuna esposti alla luce del giorno, è una sorta di diario organico: dischi circolari dei capelli della compagna Francoise, raccolti giorno dopo giorno sul piatto della doccia, la cui forma allude all’orifizio anale. La tonalità dei fotogrammi, giocata sul rosa, altro non è che un errore tipografico, di stampa e sviluppo, deliberatamente scelto come tecnica base su cui la coppia ha sviluppato, oltre a questo diversi progetti.

La scelta del fotogramma è prediletta infine anche dal cagliaritano Massimo Drago, solito lavorare sul b/n. Ha esposto all’Avorio “Senza titolo”, un teschio rappresentato atteverso X ray (le lastre ospedaliere), “consono al contesto della rassegna” spiega Piero Pala, “perchè come dicono gli americani, ‘death could be a paining in the ass’, usando il condizionale, perchè la morte potrebbe essere un salto nel nulla, ma anche una liberazione”.